Inutile raccontare quale favola sia per noi la pasta, in tutte le sue declinazioni nazionali. Se ci fosse nella carta d’identità uno spazio per “cibo di riconoscimento”, son certa che noi italiani scriveremmo quasi tutti “pasta”. Lei, la regina!
Quando ne parliamo, ci riferiamo quasi sempre e solo alla sua proprietà di rimanere “al dente”, di tener la cottura e non diventare “scotta”, termine di monopolio della pasta. Parliamo di grano italiano (e su questo dovremmo scrivere un trattato, magari non adesso), di porosità, ma quasi mai sappiamo che sappiamo che la durezza dell’acqua è un fattore importantissimo per l’impasto perché calcio e magnesio incidono sulle caratteristiche meccaniche del glutine e quindi sulla consistenza dell’impasto, non sappiamo che il punto critico e discriminante nel processo produttivo della pasta di qualità è la fase dell’essiccazione. Non sappiamo tutte queste cose perché in pochi ce le raccontano, non è facile reperire informazioni in merito e, per legge, non è obbligatorio specificare queste informazioni sul prodotto confezionato. L’unica legge che regolamenta l’essiccazione è il livello massimo di umidità che può esserci, valore non superiore al 12,5%.
La fase di essiccazione, in particolare, è determinante. E lo è in forza del fatto che costituisce la cartina tornasole di importanti elementi qualitativi del grano e dell’intero processo produttivo della pasta e ci permette di sfatare anche qualche mito sulla pasta al dente!
Okey, andiamo con ordine.
Innanzitutto definisco 3 metodi di essiccazione:
- Ciclo lento a bassa temperatura (24-72 ore a temperatura non superiore a 40-50°C)
- Alta temperatura (8-10 ore a temperatura non superiore a 75-80°C
- Altissima temperatura (3-4 ore a temperature che a volte superano anche i 100 °C)
Per definirli dobbiamo considerare alcuni elementi determinanti: la lisina, un amminoacido importantissimo per il nostro organismo che abbiamo bisogno di assumere nella nostra alimentazione perché non siamo in grado di produrlo, e la gelatinizzazione il processo di trasformazione degli amidi responsabile della digeribilità della pasta e della sua capacità di rimanere “al dente”.
Il ciclo lento a bassa temperatura è un metodo antico che prevede un ciclo molto lungo di essiccazione. La pasta essiccata in questo modo rimane un prodotto “vivo”, mantiene intatte le proprietà nutrizionali e organolettiche del grano, il processo di gelatinizzazione degli amidi e la coagulazione proteica avvengono durante la cottura, perciò la cottura della pasta avrà un punto e un tempo di cottura ottimale, oltre il quale la pasta scuocerà. Solo il grano di alta qualità può permettersi il ciclo lento a bassa temperatura! Inoltre, quando la semola è di buona qualità, una volta cotta la pasta, il suo amido gelatinizzato sarà trattenuto nel reticolo proteico e la pasta sarà tenace, elastica e non collosa e l’acqua di cottura non risulterà torbida.
Questo ci porta a dire che quando leggiamo sulla confezione che è stata essiccata a ciclo lento a bassa temperatura siamo anche certi che ci stiamo portando a casa un prodotto davvero nutriente per il nostro organismo e molto più apprezzabile e gustoso dal punto di vista organolettico.
È chiaro che per quanto riguarda strettamente il processo produttivo, l’industria che adotta questo tipo di lavorazione avrà dei tempi di messa in vendita del prodotto molto più lenti, perché la pasta rimarrà in lavorazione per molto più tempo e, va da sé, il prezzo per noi consumatori terrà conto di tutto questo. Ma ne vale decisamente la pena.
Parlando ora dei cicli ad alta e altissima temperatura invece le cose iniziano a cambiare. Anzi, scordiamoci quello che abbiamo appena detto! Solitamente è il metodo usato dalla maggior parte dell’industria. Questo perché i tempi di produzione sono molto più veloci, migliorano le proprietà fisiche della pasta e i costi e gli spazi di produzione sono ridotti.
Questo metodo di lavorazione produce una pasta “morta”, una pasta che non nutre come dovrebbe. Inoltre assicura una “buona riuscita” anche alle paste fatte con grani scadenti, in forza del fatto che il processo di gelatizzazione degli amidi avviene a partire da 60 °C, quindi la pasta in cottura rimarrà “al dente” per molto tempo, perché quel processo è già avvenuto prima della cottura ed è come se rimanesse bloccato. In realtà noi associamo il concetto di “rimanere al dente” con quello di “qualità della pasta” maalla luce di questo non è esattamente così! Come già detto, una buona pasta ha un punto esatto di cottura, dopodiché inizia a perdere di consistenza (un pò come la frutta, dopo il punto giusto di maturazione, passa!).
Inoltre, anche il contenuto nutritivo e proteico viene danneggiato: a 80 °C la vitamina B1 e B2 diminuiscono del 50%, la lisina e la metionina, due amminoacidi importantissimi all’organismo e determinanti per la digestione, diminuiscono sensibilmente. Per non parlare delle altissime temperature che nell’industria raggiungono anche i 130°C
Certamente per l’industria questo metodo di essiccazione favorisce dei tempi molto più brevi di produzione, è più semplice da gestire come processo produttivo e permette di avere una limitazione alla proliferazione della carica batterica, permettendo di ottenere allo steso tempo un prodotto apparentemente di qualità (rimane “al dente”).
Ma quindi cosa succede alla pasta durante la cottura, se la pasta cuoce circa a 100 °C?!
Cottura non significa perdita della qualità, ove presente, perché nel momento in cui la pasta è cotta al dente, la temperatura all’interno (ovvero nella parte che rimane visibilmente più chiara) rimane più bassa e l’acqua penetra meno facilmente. Rimanendo più bassa, anche i valori nutrizionali (soprattutto della lisina, l’amminoacido responsabile della digeribilità della pasta) rimangono preservati! Questa è la ragione per cui diciamo che la pasta al dente risulta più digeribile